Giovanni di Bartolomeo dei Pulci e il suo testamento a Messina
(un convento mancato della SS. Annunziata)

Nel trecento la famiglia di banchieri e commercianti fiorentini dei Pulci fu affezionata alla SS. Annunziata. Un esempio è riportato nell’articolo di qualche mese fa dal titolo Pina di Guelfo dei Pulci oblata dei Servi e il 'non expedit' di fra Pietro da Todi, dove si ricorda un fatto curioso relativo a tale signora e al suo pio desiderio di vivere in comunione con l’ordine dei Servi.
Un altro esempio è quello riportato qui di seguito, accaduto un po’ più avanti nel tempo, ma non di tanto.
Correva infatti l’anno 1363 e a Messina, “nobile” città nel regno di Giovanna di Napoli, si radunarono per scrivere un testamento il giudice Santoro Gramordey e il pubblico tabellione Niccola dei Lucci o di Luca (così in una seconda copia dell’atto), alla presenza di vari testimoni. Raccoglievano le ultime volontà del ricco mercante Giovanni di Bartolomeo dei Pulci, allettato – forse per la peste che funestò la Penisola quell’anno – ma sano di mente e quindi pronto a disporre dei suoi beni come meglio credeva.
Così, per prima cosa, l’uomo pensò alla moglie Simona, alla quale doveva essere restituita come di consueto la dote di 500 fiorini a lui consegnata dopo il matrimonio e, oltre a ciò, le dovevano essere concessi tutti i suoi vestimenti di lana e di lino e l’uso del letto con il fornimento completo.
Poi Giovanni ricordò il padre, sentendosi obbligato con coscienza a dover rimediare a ciò che Bartolomeo aveva malamente estorto durante gli anni passati a commerciare in Provenza nel ‘Valentinese’ (“de partibus vie Valentinesi”), facendo una donazione di 500 fiorini da distribuire ai poveri, ma da organizzare entro un anno da parte dei suoi fidecommissari, interessando anche il vescovo di quella città. Di più non ne sappiamo.
Quindi legò 600 fiorini a Manente e a Lorenzo dei Buondelmonti e agli eredi del fu Rosso loro fratello. Adempiva così alla volontà di Giovanna sua madre, che doveva appartenere a questa nobile famiglia fiorentina.
Fece poi seguire i nomi di altri beneficiati: i figli del fu Chicchi dei Pulci, con una casa a Firenze vicina a quella di famiglia; Filippo di Layno dei Pulci con 30 fiorini; e Gerardo dei Buondelmonti figlio del citato Lorenzo con 40 fiorini.
Soprattutto – e qui si manifestò il suo devoto affetto per la SS. Annunziata – istituì suoi legittimi eredi i frati dei Servi della beata Vergine di Firenze “in quodam loco suo de lu Musello vocato dello Molendino in quo loco dicti fratres debeant continue habitare et morare; qui fratres et heredes sui teneantur in eorum animabus cotidie chanere missas pro anima sua”.
Al Mulino – forse lo stesso luogo presso Scarperia dove visse il discendente della casata Luigi Pulci autore del Morgante († 1484) – i frati erano tenuti “hedificare et construere de novo quadam ecclesiam in remedio peccatorum suorum”.
Avrebbero dovuto però rispettare delle condizioni, ovvero il divieto di vendere, donare, permutare o alienare la proprietà, che doveva restare in tenuta e possessione della chiesa “construende” (da costruire).
Ma se per qualche ragione l’eredità fosse decaduta, sarebbe dovuta pervenire ai capitani di Orsanmichele, come anche la vigna con orto che era pertinenza del Mulino.
Alla fine del testamento Giovanni ordinò di distribuire il superfluo dei suoi beni in beneficenza per maritare le fanciulle orfane e sostenere i poveri indigenti. E nominò, per questa e tutte le altre incombenze, fidecommissari altri Pulci suoi parenti: “Adovardum” (Edoardo), Iacopo di Francesco e “Luixium” (Luigi), al quale legò anche una casa con vigna nel castello “de Latere”.
Previde infine, da gran signore, 5 fiorini ciascuno per tutti i suoi consanguinei.
L’uomo dettò le ultime volontà alla presenza di alcuni testimoni, i cui nomi sono riportati in modo diverso nelle due copie, purtroppo, in cattive condizioni del testamento. Furono Ramedino o Raimondino dei Picchiotti o dei Vecchietti, Banfo di Raniero da Romena o da Ravenna, Giovanni Grande da Firenze, Manente dei Buondelmonti, Rainerio dei Buondelmonti, Chierico dei Picchi o dei Pazzi e Cristoforo dei Buondelmonti.

I frati della SS. Annunziata non ottennero la proprietà del Mulino e della vigna e tanto meno poterono costruirvi una chiesa e un convento.
In una loro supplica in volgare posteriore al testamento chiamarono in causa senza successo i “reverendi e giusti huomini X della libertà della città, popolo e comune di Firenze”, ricordando come Francesco di Cece dei Pulci “grande e possente” tenesse occupato il luogo “per forza e maggioranza e chon non giusti titoli”.
Più volte gli avevano chiesto che si facesse la volontà di Giovanni (che era suo cugino, v. Borghini, Dell’arme ..., n.d.A.) e che si liberasse il luogo per poterne fare il convento desiderato. Ma Francesco aveva negato o forse non aveva nemmeno risposto.
I padri pertanto supplicarono i “reverendi e giusti huomini” di “constringere chon remedio opportuno” l’uomo a rendere liberi i beni ai frati ma anche: “che sopracciò facciate prima giustitia”.

Paola Ircani Menichini, 2 dicembre 2022.
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